I LAVORATORI SENZA GREEN PASS POSSONO O NON POSSONO
ACCEDERE PER IL CONSUMO DEI PASTI ALLA MENSA AZIENDALE?
Negli ultimi giorni confronti accesi e polemiche hanno riguardato l’ambito di operatività ed obbligatorietà del green pass con riferimento alle mense aziendali.
Come noto il DL 105/2021 ha introdotto il possesso della certificazione verde (l'inoculamento almeno della prima dose vaccinale contro il Covid-19 o la guarigione dall’infezione da Sars-CoV-2 da non oltre 6 mesi o ancora l’aver effettuato un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo al Coronavirus) per accedere ai servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio per il consumo al tavolo, al chiuso.
Il Decreto legge non chiarisce però che cosa debba intendersi con la locuzione “svolti da qualsiasi esercizio” e come sempre formulazioni normative dubbie lasciano spazi a svariate interpretazioni, spesso faziose che poco hanno a che fare con il diritto.
Ciò significa, quindi, che la prima interpretazione di un testo normativo di cui si deve tener conto è quella letterale, ossia analizzare il significato grammaticale delle parole considerate non isolatamente ma nella loro connessione sintattica.
E’ il criterio assorbente ed esauriente rispetto a tutti gli altri canoni interpretativi del testo normativo; nonché il primo e fondamentale elemento per indagare quale sia stata l’intenzione del legislatore.
La prima cosa, pertanto, da evidenziare nella lettura dell’art. 3 del DL 105/2021 lettera a) è che si parla di servizi di ristorazione, ma non vi è alcuna precisazione in ordine alla parola mensa/mensa aziendale. Questo è il primo elemento letterale oggettivo. Altro elemento da considerare è il collegamento alla locuzione successiva “servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio”. La parola esercizio e soprattutto la sua collazione in una norma che prevede limitazioni di accesso per servizi e attività, lascia intendere che il riferimento sia all’esercizio commerciale e non al luogo di lavoro a cui è collegata la mensa aziendale. Una interpretazione letterale immediata, pertanto, così come in realtà effettuata nei primi giorni di entrata in vigore della normativa, è nel senso che le limitazioni siano applicabili soltanto per i servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio commerciale aperto al pubblico, per cui non propriamente ristoranti, ma anche bar, enoteche, per il consumo al tavolo al chiuso.
Là dove però non si ritenga esaustiva la mera interpretazione letterale, occorre integrare con la interpretazione logica e sistematica della norma per capire l' intenzione del legislatore. Attenzione, quando si parla di intenzione del legislatore ciò che va ricercato non è quello che il legislatore ha voluto, ma quello che risulta dalla legge obiettivamente considerata, dato che la legge, con la sua promulgazione, si stacca dalle persone che l’hanno redatta ed acquista un significato autonomo. Si cerca, in altre parole di comprendere, oltre ad individuare una ragionevolezza della determinazione legislativa, quale “logica razionale” abbia seguito il legislatore nell'ambito della sua discrezionalità.
Cerchiamo di ricostruire il quadro della normativa. I servizi di ristorazione svolti da attività commerciali sono ben diversi dalle mense nei luoghi di lavoro. Innanzitutto il codice Ateco che classifica le due attività è diverso, così come è diversa la relativa funzione. Il servizio mensa messo a disposizione dal datore di lavoro ai propri dipendenti consiste nella somministrazione di vitto che può avvenire con diverse modalità: tramite gestione diretta da parte dell’impresa; tramite fornitura di buoni pasto o servizi sostitutivi della mensa; tramite indennità di mensa. Il servizio mensa è esente da imposte e contributi per il datore di lavoro e deve essere offerto alla totalità del personale, per il dipendente invece non costituisce elemento della busta paga.
Quando il datore di lavoro fornisce il vitto tramite servizio mensa aziendale può gestirla direttamente o tramite strutture interaziendali anche attraverso appalto del servizio a ditta esterne, indipendentemente dal luogo in cui è situata la mensa, che può essere all’interno o all’esterno dei locali dell’azienda e in quest’ultimo caso anche in locali di proprietà di terzi.
E’ evidente che il servizio mensa fornito dal datore di lavoro ha principi e origini completamente diverse dai servizi di ristorazione offerti indistintamente da esercizi aperti al pubblico.
La semplice interpretazione lettera e logica della norma ci dovrebbe portare a dedurre che se il legislatore avesse voluto includere le mense aziendali tra le attività a cui si applica il green pass lo avrebbe senz’altro precisato espressamnete.
Se ancora però non ci convincono i risultati a cui siamo giunti sino a qui, la legge ci indica un altro criterio per applicare correttamente la norma, ossia l’interpretazione sistematica che ha lo scopo di determinare il significato della disposizione inserita nel sistema legislativo complessivo, ossia tenendo conto della disciplina vigente in cui si inserisce la norma da interpretare.
Si basa essenzialmente sul contesto in cui si colloca la disposizione da interpretare e sulla presunzione che il sistema giuridico sia dotato di una certa coerenza.
In altre parole, possiamo chiamare logico-sistematica quella interpretazione che evitando in primo luogo le contraddizioni nell'ambito di un singolo documento normativo, cerca anche di escludere quei significati che renderebbero il testo incoerente con il sistema.
Bene una interpretazione sistematica ci porta senz’altro a escludere le mense tra i servizi di ristorazione di cui all’art. 3, lettera a) per una serie di considerazioni:
Con l’introduzione del Decreto Draghi sulla suddivisione delle zone per fasce di colore, tutti ci ricorderemo che anche in zona rossa benché i servizi di ristorazione forniti dagli esercizi commerciali fossero vietati, il servizio di mensa aziendale continuava ad operare come in precedenza.
Art. 37 comma 1 e Art. 46 comma 1 del DPCM “continuano a essere consentite le attività delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, nei limiti e alle condizioni di cui al periodo precedente
Era ovvia la ratio della esclusione, il servizio di somministrazione del vitto ai lavoratori rientrava in un campo completamente diverso, ossia il diritto dei lavoratori di poter usufruire di un servizio connesso alla propria attività lavorativa.
La categoria dei lavoratori dipendenti è più ristretta rispetto a quella del complesso di cittadini che usufruiscono dei servizi di ristorazione forniti dagli esercizi pubblici, per cui il rischio di contagio era certamente meno forte, così come diverso il diritto tutelato, da consentirne l’esercizio anche in zona rossa.
Perché questo presupposto logico sistematico dovrebbe essere cambiato oggi con l’avvento del DL sul Green Pass?
Al fine di rimarcare la diversità dei servizi di ristorazione svolti da ristoranti e altre attività commerciali e quella delle mense aziendali, dovremo anche qui ricordarci di cosa accadde quando agli esercizi pubblici, in zona rossa, fu consentito di trasformare bar e ristoranti in mense aziendali e riuscire così a lavorare anche in periodi di forti restrizioni Lo scopo della manovra governativa fu quella di lasciare la possibilità di risolvere il grosso problema della pausa pranzo per tutte quelle aziende che non potevano ricorrere allo smart working e che non avevano una mensa interna e, dunque, necessitavano di una soluzione per gestire in modo sicuro la pausa pranzo dei propri dipendenti.
I servizi di ristorazioni svolti però dagli esercizi pubblici, vista proprio la differenza con le mense aziendali, per riconvertirsi hanno dovuto seguire un iter particolare: chiedere l’autorizzazione da parte delle autorità territoriali, avere uno specifico contratto di mensa aziendale tra ristorante e azienda, che prevedesse delle specifiche convenzioni per il pranzo, concesse solo nei giorni lavorativi.
Si comprende che garantire il servizio mensa aziendale in momenti anche di forti limitazioni (zona rossa) era un diritto prioritario connesso al diritto inviolabile di ogni lavoratore.
Anche la interpretazione sistematica del DL 105/2021 ci conduce, quindi, a considerare il consumo dei pasti da parte dei dipendenti all’interno della mensa aziendale un diritto che non può essere limitato dal possesso o meno del green pass.
A maggior ragione quando la mensa aziendale è collocata fisicamente all’interno dell’azienda, ossia luogo di lavoro, giungendo all’assurdo che in uno stesso ambiente di lavoro è possibile per i dipendenti che non possiedono il green pass accedere, mentre all’interno di quello stesso ambiente, sala mensa, è interdetto loro consumare i pasti. Il dipendente potrà recarsi a mensa e prendere il proprio vassoio, ma consumarlo altrove sempre all’interno del luogo di lavoro, in quanto non vi è alcuna prescrizione per cui il dipendente debba recarsi all’esterno dell’azienda, come purtroppo i fatti di cronaca in questi giorni ci hanno rivelato per quanto riguarda in particolare la Polizia di Stato.
Perché se l'interpretazione letterale-logica-sistematica della norma di cui all’art. 3 DL 105/2021 non lascia dubbi applicativi, il green pass è stato esteso anche ai lavoratori per le mense aziendali, come titolano i maggiori quotidiani?
Quando i testi normativi sono talmente ambigui e mal formulati, cosa non presente a mio avviso nel caso di specie per le tutte argomentazioni svolte sino a qui, lo stesso legislatore per risolvere situazioni di contrasto e di non esatta interpretazione è costretto ad intervenire. Si parla allora di interpretazione autentica in cui il legislatore chiarisce il dubbio interpretativo.
Cosa è successo in questi giorni?
Sul sito del Governo magicamente il 15.08.2021 è apparsa una FAQ Per la consumazione al tavolo nelle mense aziendali o in tutti i locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti pubblici e privati è necessario esibire la certificazione verde COVID-19?
Sì, per la consumazione al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale o nei locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti, solo se muniti di certificazione verde COVID-19, analogamente a quanto avviene nei ristoranti. A tal fine, i gestori dei predetti servizi sono tenuti a verificare le certificazioni verdi COVID-19 con le modalità indicate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 giugno 2021.
Da questa “affermazione” considerata istituzionale, a cascata vi è stata una esplosione mediatica e le prime applicazioni pratiche, tra cui la richiesta di green pass per accedere alla mensa aziendale della Polizia di Stato.
Chi opera con il diritto dovrebbe conoscere le leggi e certamente se la conoscenza e l’onestà intellettuale fosse la guida fondamentale, nessuno sarebbe cascato nel madornale errore che questa FAQ non può essere assolutamente considerata un'interpretazione autentica del Governo.
Perché si possa parlare di interpretazione autentica, il legislatore deve intervenire con una legge pari-grado o con un provvedimento ad essa equiparato (decreto legge, decreto legislativo) perché questo tipo di interpretazione non è consentito da una fonte secondaria, figuriamoci da una FAQ.
E questo lo dice il nostro ordinamento giuridico.
Ad oggi l’unico modo per interpretare correttamente la norma di cui al DL 105/2021 sono soltanto i criteri interpretativi poc’anzi illustrati, mancando un provvedimento di pari grado che fornisca espressamente una interpretazione autentica.
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